Storia del gruppo di impegno ecumenico di Pisa

Il gruppo di impegno ecumenico di Pisa

don Roberto Filippini - don Elvis Ragusa

Il gruppo di impegno ecumenico di Pisa nasce negli anni ’80, anche se vi era già stata negli anni precedenti, intorno agli anni ’70, un’esperienza di lavoro comune, a livello sociale, fra i giovani delle diverse chiese, alcuni dei quali si sono poi ritrovati nel gruppo ecumenico. L’occasione per la sua formazione fu data dalla celebrazione di un matrimonio interconfessionale fra un valdese e una cattolica, la cui preparazione aveva visto coinvolti, oltre agli sposi, un prete cattolico – don Roberto Filippini – e due pastori – quello che era in carica allora, Salvatore Briante, e il pastore emerito, Alfredo Scorsonelli – insieme a diversi amici appartenenti ad entrambe le chiese. A quest’esperienza seguì, l’anno successivo, la preparazione del battesimo della bambina che nacque dalla coppia.

Questo lavoro comune suscitò il desiderio di continuare quell’esperienza, estendendola ad altri cristiani interessati alla ricerca dell’unità fra le chiese: nacque un gruppo che, con alterne vicende, si ritrova da quei tempi fino ad oggi ogni 15 giorni.

La sede è stata quasi sempre nei locali della chiesa valdese, dove ancora oggi si svolgono le riunioni, sostituita solo saltuariamente da qualche parrocchia cattolica. agli incontri partecipano oggi una ventina di persone appartenenti prevalentemente alle chiese cattolica e valdese, ma che sono stati frequentati anche da persone di altre chiese (metodisti, Luterani, Battisti, avventisti, ortodossi greci). Presenze costanti del gruppo sono i pastori valdesi e i delegati diocesani per l’ecumenismo della chiesa cattolica. Lo stile degli incontri è piuttosto informale: a turno, uno dei partecipanti cura l’introduzione, poi tutti possono fare riflessioni, approfondimenti, domande. In questi anni sono stati affrontati temi di attualità o temi di fondo riguardanti la teologia, l’etica, la storia delle chiese.

All’inizio, anche per l’esigenza di alcuni membri del gruppo, l’interesse si concentrò su questioni dottrinali, particolarmente scottanti, di divisione, come il culto mariano. In quella prima fase le discussioni erano molto animate e suscitavano, alla fine degli incontri, un maggiore irrigidimento sulle proprie posizioni dogmatiche.

Dovendo spesso riportare le questioni al loro fondamento biblico, fu sempre più chiaro che proprio la sacra scrittura poteva costituire il luogo dove incontrarsi: sulle pagine bibliche le tempeste si ridimensionavano. Si decise di spendere allora, senza risparmio e senza fretta, tutto il tempo necessario perché la Parola del Signore guidasse, guarisse e plasmasse per un dialogo proficuo: un tempo di terapia della Parola di quasi due anni, in cui non si fecero più discussioni teologico-dottrinali, ma soltanto si lessero e si studiarono insieme alcune sezioni degli Atti degli Apostoli, una Lettera di Paolo, gran parte del Vangelo di Marco. Tutto ciò condito da momenti forti di preghiera.

Questo portò innanzitutto a una reciproca conoscenza dei diversi membri e, contemporaneamente, si prese coscienza di quanto il Concilio insegnava. “Bisogna conoscere l’animo dei fratelli separati”: così recita l’inizio del capitolo IX del documento sull’ecumenismo Unitatis Redintegratio: un’affermazione che potrebbe apparire quasi ovvia, nella sua incontestabile verità, e tuttavia da riprendere e ripeterci costantemente, senza stancarci. Finché permangono l’ignoranza e l’immagine convenzionale ed acritica degli altri, le rappresentazioni stereotipe o peggio la deformazione polemica, come si può realizzare un fecondo dialogo e un autentico avvicinamento? È proprio in questo senso che quell’affermazione apparentemente banale contiene una parola di pregnante significato, che riverbera luce su tutto il contesto. Bisogna – è detto – conoscere l’animo dei fratelli. Il Concilio si mostra qui consapevole che nelle relazioni ecumeniche, come del resto in ogni vitale relazione umana, una vera conoscenza non può fermarsi ad una visione puramente oggettiva, per quanto rigorosa e rispettosa. Non sono in gioco infatti un astratto sistema dottrinale o un insieme di dati e nozioni analizzabili dall’esterno, ma realtà personali in cui si condensano vita e storia, e che esi- gono perciò una interpretazione dall’interno, capace di cogliere le intenzioni e il senso.

Solo dopo questa fase fu possibile riprendere anche le discussioni dottrinali, sempre curando di dedicare una parte consistente dell’anno all’ascolto e allo studio comunitario della Bibbia. In questo rinnovato clima si affrontarono le tematiche del documento Battesimo, eucaristia e ministero ( Commissione fede e costituzione, Battesimo, Eucaristia, Ministero, (Documento di Lima), Lima 1982, in eo I, edB, Bologna 1986, nn. 3032-3181), le tematiche di Basilea ( I assemblea ecumenica europea tenutasi a Basilea dal 15 al 21 maggio 1989 sul tema Pace nella giustizia. Cfr. “Il regno - documenti”, 1989, pp. 386-430), di Seoul (assemblea ecu3menica mondiale tenutasi seoul dal 5 al 12 marzo 1990 sul tema “giustizia, pace e salvaguardia del creato”. Cfr. “Il regno - documenti”, 1990, pp. 350-376), di Graz ( II assemblea ecumenica europea tenutasi a graz dal 23 al 29 giugno 1997 sul tema “riconciliazione dono di dio e sorgente di vita nuova”. Cfr. “Il regno - documenti”, 1997, p. 449), la Charta Oecumenica ( Conferenza delle Chiese europee (KeK) - Consiglio delle conferenze episcopali d’eu- ropa (CCee), Charta oecumenica. Linee guida per la crescita della collaborazione tra le Chiese inEuropa, in “Il regno - documenti”, 2001, pp. 315-318), la dichiarazione congiunta sulla giustificazione (pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani - federazione Luterana mondiale, Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, in “Il regno - documenti”, 1998, pp. 250-256).  

Si è cercato di approfondire la conoscenza reciproca anche circa la catechesi, il primo annuncio, l’organizzazione delle nostre chiese, gli ordinamenti disciplinari e canonici.

In questi anni non è mancato nemmeno lo studio delle diverse storie e l’approccio ai testimoni, ai profeti delle diverse comunità, da Bonhoeffer a Iacopo Lombardini, da Franz Jaegerstetter a don Sirio Politi di Viareggio, il primo prete operaio. A questo lavoro interno il gruppo ha sempre cercato di affiancare dei momenti di sensibilizzazione e di testimonianza ecumenica nella città e non solo. La necessità di affrontare anche tematiche interreligiose attraverso il confronto con ebrei e musulmani ha generato un’esperienza a S. Miniato, che ha dato vita al “Gruppo di Agliati”.

Si sono inoltre organizzate iniziative aperte alla cittadinanza come presentazioni di libri, tavole rotonde con teologi ed esperti sulle questioni dibattute nel gruppo, oppure su questioni di attualità religiosa. Di grande interesse è stata ad esempio la lettura continuata del Nuovo Testamento in una due giorni non-stop di fronte al Comune, in una zona centralissima di Pisa, organizzata, dalla chiesa avventista, a cui abbiamo partecipato tutti. Ci sono anche stati momenti di preghiera, proposti nelle diverse chiese, cercando di coinvolgere le parrocchie cattoliche, i gruppi, le associazioni. Importanti, infine, per farci conoscere anche i concerti e le rassegne dei cori delle diverse confessioni.

Una data importante nella storia del gruppo è il 1986, quando la diocesi, ma anche le chiese, hanno delegato al gruppo l’attività ecumenica nel territorio e in particolare l’organizzazione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, culminante nella preghiera cittadina con l’arcivescovo e i pastori. All’interno della settimana si sono realizzati incontri con i giovani e con i seminaristi, conferenze e dialoghi all’interno delle scuole di formazione teologica della diocesi. Anche le raccolte dei fondi delle offerte hanno sempre avuto destinazioni ecumeniche: ad esempio nell’anno in cui la preghiera ecumenica era stata preparata da un gruppo ecumenico irlandese, sono state destinate ad una comunità che da anni pratica la fraternità e l’impegno del dialogo tra cattolici e protestanti in quel paese.

Va segnalata una proposta del servizio “Cultura e università” della diocesi di Pisa ( Il gruppo è guidato da don Severino Dianich e da don Roberto Filippini): ogni anno è organizzato un corso per offrire una sintetica presentazione della fede cristiana, in sei incontri. È sembrato naturale che vi partecipasse la pastora valdese di Pisa, Erika Tomassone, che ogni anno ha tenuto una lezione, proprio per dare un segnale che la fede in Gesù Cristo è veramente un’unica fede a coloro che venivano ad ascoltare incuriositi. Tutto questo è e rimane un piccolo segno e come tale soggetto ad ambiguità. Vorremmo ricordare un piccolo aneddoto rappresentativo di ciò: un anno facemmo, come ultimo incontro della Settimana di preghiera, una rassegna di cori delle diverse chiese. Per la fine della rassegna il direttore, durante le prove, propose “simbolum 77”. I cori erano formati quasi completamente da ragazzi dai 17 ai 25 anni, massimo 30. L’aver cantato il Credo, tutti insieme, ragazzi delle diverse confessioni in una chiesa centrale della nostra città suscitò una grande commozione in chi scrive, ma quando questo stupore è stato condiviso, è stato accolto con grande meraviglia da parte dei giovani: per loro era scontata una cosa del genere. In quel momento è stato chiaro il divario che caratterizza le due prospettive dalle quali è possibile leggere un gruppo come il nostro: da una parte chi, più anziano, conosce la straordinarietà di un evento impensabile fino a quarant’anni prima, costato fatica e reso possibile solo da una passione che ha saputo superare infiniti ostacoli; dall’altra chi, più giovane, considera tutto questo “niente di speciale”, qualcosa di importante ma non a tal punto da mettersi in gioco, da spendere energie e creatività per qualcosa che va bene così, partecipi di un clima di frenata ecumenica che è stato definito come “inverno ecumenico” o addirittura “coma ecumenico”.



Ci vengono, però, in mente le parole di Bonhoeffer in un intervento all’assemblea ecumenica a Gland nel 1932 (!):

la fede nella chiesa viva di Cristo si fa strada solo là dove si vede con il massimo di chiarezza la morte della chiesa nel mondo e il crollo che si ripete in continua- zione, dove perciò si sa che il mondo, se è onesto, non può dire altro che “La chiesa è morta”, che il mondo non può guardare al nostro agire se non come al preparativo di un funerale – e, nonostante tutto questo, contro e in opposizione a tutto questo, si ascolta il Nuovo Testamento che annuncia al morente la vita e nella croce di Cristo la coincidenza di morte e vita e il loro intreccio – solo dove si vede questo, si crede alla chiesa sotto la croce. [...] Il credente non può essere pessimista e non può essere ottimista. entrambe le posizioni sono illusorie. [...] Il credente dice: la chiesa vive in mezzo alla morte, solo perché Dio la chiama dalla morte alla vita, perché egli fa ciò che è impossibile contro di noi e per nostro mezzo: è così che noi tutti vogliamo parlare. ( d. Bonhoeffer, Intervento a Gland, in Id., Scritti scelti (1918-1933), Brescia, Queriniana, 2008, p. 474).


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